La percezione che normalmente si ha dell’ansia è, nel linguaggio comune, qualcosa di fastidioso non appartenente a se stesso che produce sofferenza. Nell’ansia si manifestano, a livello livello fisico, reazioni viscerali e muscolari che costituiscono la scarica di qualcosa che non può essere pensato e che quindi viene riversato sul corpo. Ma è a livello emotivo che si presentano le maggiori difficoltà: La persona, ha difficoltà a controllare la preoccupazione, trova difficile impedire che i pensieri preoccupanti interferiscano con l’attenzione ai compiti che sta svolgendo e difficoltà ad interrompere la preoccupazione.
L’ansia rappresenta qualcosa che vuole venire a contatto con la nostra consapevolezza, con la nostra coscienza, col nostro Io irrigidito in schemi di comportamento prefissati e sterili. Funge da richiamo per la nostra attenzione, ci mette sul “chi va la” come la paura che ci assale in situazioni di pericolo. Quando però questo meccanismo continua a persistere anche dopo la fine di eventi potenzialmente ansiogeni, si parla di un’ansia patologica caratterizzata da uno stato permanente di tensione che compromette le capacità operative e di giudizio. L’ansia è il simbolo di una vita che soffre e che forse è sprecata, allora siamo ansiosi perché stiamo perdendo il senso della vita, perché non ci sentiamo utili, necessari, perché ci sembra di non servire a qualcuno o a qualcosa, perché non sappiamo dove stiamo andando, perché forse non c’è un senso nelle cose che facciamo e vorremmo fare altro. L’ansia è il risultato di un conflitto esteso tra aspetti della nostra personalità, tra parti immature e sviluppate, tra emozione e cognizione, tra voglia di scoprire e comportamenti sclerotizzati.
Uno degli fattori rilevanti della sua origine sono quelli dell’educazione e dei rapporti primari, dell’esperienza dell’ansia in relazioni significative: chi fin dall’infanzia si sia ritrovato situazioni angosciose nelle quali l’ansia non è stata metabolizzata, nella riproposizione dell’angoscia proverà un forte senso di ansia, o in situazioni aggressive, sarà grande il timore per la punizione, è facile che l’individuo entri in ansia temendo il rimprovero di un Super-Io vendicativo e severo, oppure si ha una reazione d’ansia quando si privi il soggetto del sostegno cui era abituato o ancora il soggetto non percepisce un oggetto interno contenitivo. Il sintomo diviene l’espressione e le conseguenze di conflitti psicologici di origine infantile e rappresentano un compromesso fra i desideri inconsci e le difese corrispondenti.
In psicodinamica l’ansia proviene dalla rimozione di pensieri o impulsi intollerabili; per quanto escluso dalla coscienza, questo materiale rimane efficiente e carico di energia che cerca di esprimersi. L’espressione avviene spesso in modo celato, tortuoso, simbolico. Lo studio dei disturbi ansiosi, attraverso la psicoanalisi o le psicoterapie, può chiarire i motivi che stanno alla base dei disturbi nevrotici: l’aspetto fondamentale di tale conoscenza riguarda non tanto la descrizione dei sintomi, quanto la comprensione del senso e del significato che essi hanno nel bilancio complessivo della vita psichica.
Chi soffre di Disturbi di ansia presenta spesso un rapporto con la realtà ben conservato, quindi l’intervento si orienta su una terapia analitica per far esprimere il più possibile ciò che ha provato e prova il soggetto, cercando di farlo rimanere a contatto con le proprie emozioni e di prendere consapevolezza della conflittualità e delle sue manifestazioni. A meno che l’ansia non sia un sintomo che copre altre disfunzionalità psciche di maggiore gravità.
Attraverso il valore contenitivo della relazione terapeutica, è possibile migliorare il livello di autostima, rinforzare la funzione dell’io e della tolleranza all’ansia e il suo rapporto con la pulsionalità e con l’angoscia.